Fare a pezzi Linès-Fellow

Fare a pezzi Linès-Fellow

Ciò che a prima vista potrebbe apparire come il resoconto di un’impresa ai limiti dell’incredibile è in realtà il caso di degradazione fisica e morale di un uomo, Mell Fellops, e dell’arte performativa del suo medico, Linès-Fellow, nel renderne conto al lettore in una farneticante quanto irriducibile e accanita narrazione, quasi che da quelle gesta “atletiche” ne derivi l’agire stesso dell’uomo di scienza e il patire della sua natura umana confinata.

Prima di cominciare ad analizzare il testo di Jean-Marc Aubert dal titolo “Argomentazione di Linès-Fellow” (traduzione di Laura Marzi), mi si conceda di inquadrare il lavoro letterario in oggetto all’interno della collana che Prehistorica Editore gli ha dedicato.
Ogni scrittura, in maniera più o meno consapevole, è animata dall’ardente desiderio di fare luce su un qualche oggetto. Attraverso questa collana, Prehistorica Editore si propone a sua volta di illuminare la grande narrativa, dando rilievo ai classici di ieri e a quelli di oggi, così da proiettare le loro ombre lunghe nel mondo di domani.

È questo, dunque, ciò che l’editore ha previsto per Ombre Lunghe, collana in cui si raccoglie, come un sedimento del tempo, la grande narrativa, intesa come costrutto culturale e indagine laparatomica dell’umano, un’enclave privilegiata in cui attecchiscono specie rare o in via d’estinzione.

Jean-Marc Aubert è nato a Nizza e vive tra Amiens e Parigi e ha pubblicato sette romanzi e una raccolta di racconti. La sua visione della letteratura può riferirsi senza dubbio alla relazione voluta col difforme, alla sollecitata discrasia tra gli elementi tematici e la tradizione, nonché a una lucida simbiosi con gli elementi fisici di cui si compone il corollario scenografico entro il quale ambienta le sue storie.

Per “Argomentazione di Linès-Fellow” s’ingegna a edificare un meccanismo letterario in cui i due protagonisti, il monco Mell Fellops e il suo pazzoide medico Linès-Fellow, aderiscono fino a formare una creatura bifronte, in cui ogni volto esprime interdipendenza e attesa beckettiane.
Se la narrativa scientifica degli ultimi mesi ci ha abituati a rispondere a una sospensione in cui il medico è divenuto unico signore e padrone del sapere e depositario del diritto di vita e di morte sull’individuo, ma che si è fatto garante, per quanto possibile, della sua incolumità, lo stesso non può dirsi per il personaggio che Aubert ha posto a tutela di Fellops.

La storia, ambientata nell’ipotetica cittadina di Briwich (individuabile nel sud dell’Inghilterra), vede compiersi le gesta di Mell Fellops, un uomo a cui sono state amputate le gambe, che conduce una vita regolare ma solitaria, scandita da allenamenti e letture appuntate maniacalmente in un taccuino,  e che saltuariamente si reca al casinò, che decide di partecipare a una maratona spinto dalle insistenze di Linès-Fellow.

Come il medico riesca a convincere il paziente è arte del narratore e il lettore ne avrà ampia dimostrazione introducendosi nell’universo di una scrittura ipnotica, in cui ogni elemento appena letto ne attrae disinvoltamente un altro, impedendo a chi legge di sottrarvisi per una naturale dipendenza dalla fluviale iperbole letteraria. In verità, già dalla prefazione di Éric Chevillard (traduzione di Gianmaria Finardi) pregustiamo un certo estro per l’insolito e la catastrofe e una sottile crudeltà studiata in ogni minimo dettaglio.

L’impresa di Jean-Marc Aubert corrisponde a una lotta che lo scrittore ingaggia con se stesso nella trasfigurazione handicappata del suo personaggio, nell’impossibilità di scrivere, per cui viene spontaneo credere che in realtà il binomio singolare venutosi a creare tramite il rapporto patologico tra medico e paziente non sia altro che il dissidio insito nello scrittore e nella sua volontà conoscitiva del superamento.

“Io scoprii in lui, a poco a poco, durante i nostri due anni di frequentazione, una natura composita in cui convivevano una maniacalità orgogliosa e un senso d’inferiorità, che lambiva talvolta la nevrosi”.

Linès-Fellow parla in prima persona e accompagna chi legge nell’inverecondo disinteresse per il rispetto della dignità a ragione di un’attrazione per l’analisi e l’esperimento.

Fin dove si spingerà Mell Fellops? Quali saranno i suoi appigli? Il medico scommette quasi si tratti di una corsa di cavalli e non rinuncia alla dissezione fisica e psichica del suo assistito. Accenna a punte di cinismo smaccato e vagheggia a gettare le responsabilità di un ipotetico fallimento sulla disorganizzazione di chi allestisce la competizione, colpevole di non avere interdetto l’iscrizione a persone nelle condizioni di Mell.

Si ha quasi l’impressione che il medico abbia già premeditato il suo esperimento, programmandolo con la stessa maniacalità con cui Fellops aveva sempre vissuto. Il confine tra i due si assottiglia sempre più sino al dissolvimento totale di ogni decoro e dignità umana e intellettuale.

“Non sono la vittima principale, io che guardo, con un po’ di inquietudine, questa brutta ferita infetta al polpaccio sinistro che, decisamente, non cicatrizza?”.

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Scritto da
Angelo Di Liberto
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