Il traduttore ha due corpi.
Uno è curvo, malaticcio, sempre stanco, perennemente seduto davanti a un libro o un computer, quasi schiacciato per lo sforzo che gli costa ogni movimento. L’altro, invece, è un corpo atletico, scattante, con lo zaino in spalla, sempre in viaggio, sempre a calcare nuove terre, nuovi continenti.
Il traduttore ha due paia d’occhi.
Due occhi ci vedono poco, spesso hanno gli occhiali, sono sempre strizzati per lo sforzo, lacrimano per le troppe ore passate davanti a uno schermo luminoso. Gli altri, invece, vedono lontanissimo, scavalcano facilmente gli oceani e le montagne, oppure sanno infilarsi nei recessi più reconditi delle personalità e dei luoghi sconosciuti.
Il traduttore ha quattro mani.
Due sono tese, contratte, sfogliano veloci le pagine di libri e dizionari, corrono sulla tastiera, hanno polsi doloranti e dita deformate dalla tensione. Le altre due, invece, intessono mondi con calma, palpano tranquille volti e luoghi sconosciuti per poi riprodurli plasmando lievi la creta delle parole.
Il traduttore ha quattro gambe.
Due sono magre, un po’ storte, mancano di forza e di esercizio per essere state troppo spesso avvolte intorno alle gambe di una sedia, e quando si alzano fanno male. Le altre sono munite di stivali delle sette leghe, saltano come Hulk, superano qualsiasi barriera o confine e corrono sempre, affascinate dalla distanza in quanto tale, portando il loro padrone ai quattro angoli del globo e ai confini dell’universo.
Il traduttore ha due sessi.
Uno è solo suo, maschile o femminile, della sua stessa età, con i suoi stessi gusti, con o senza figli. L’altro è il sesso opposto, o del suo stesso genere ma con altri gusti, altri coraggi, altre paure. È un sesso che si lascia fecondare da tutto e che tutto feconda, che sa mischiarsi alle realtà più disparate e che figlia continuamente terze creature fatte di parole e batticuore.
Il traduttore ha due cervelli.
Uno è meticoloso, studiosissimo, vuole sapere tutto e di tutto si informa, non farebbe mai un passo, non dirà mai una parola senza prima conoscere tutto di quella parola: storia passata, presente e se possibile anche futura. L’altro è un pazzo scatenato che le parole le inventa, si bea dei suoi stessi errori e li usa per scandire discorsi distratti che fanno ridere i bambini e commuovono gli adulti.
Il traduttore ha due cuori.
Uno ha la sua età, i suoi amori e le sue antipatie. A volte odia, ma cerca di non pensarci e di respirare finché non passa. L’altro è un divoratore efferato di vite altrui, giovanissimo e vecchissimo a seconda di come si sveglia la mattina, capace di odi furibondi e di crudeltà indicibili come di abnegazione e sacrificio assoluti. Diventa chi vuole, e ogni volta batte a un ritmo diverso.
Il traduttore ha due portafogli.
Uno trabocca delle ricchezze di tutto il mondo, sparge pietre preziose e valute di ogni genere, conosce le sartorie italiane e i telai della Mongolia, sa dove e che cosa mangiare a Parigi, New York, Luanda e Singapore. L’altro, invece, è pieno solo di quello che guadagna con le pagine che scrive, con cui arriva a malapena a fine mese.
Il primo traduttore, quando si alza dolorante dalla sedia, e si stropiccia gli occhi, e sfoglia il prossimo dizionario, e sospira con il suo cuore stanco, sogna di unirsi al suo secondo sé. Sogna di avere gambe forti e mani delicate, occhi dotati di supervista, un cervello ridanciano, un cuore crudele e innamorato, un sesso pazzo. Ma sotto sotto non gli importa, perché sa che queste cose le regala a chi legge le parole che scrive incurvandosi la schiena, rovinandosi la vista, atrofizzandosi le mani. Allora sorride e si rimette a lavorare, sognando, magari, soltanto un portafogli un po’ più gonfio.
Meraviglioso, Daniele.
[…] “Il corpo del traduttore” di Daniele Pietruccioli […]
[…] “Il corpo del traduttore” di Daniele Petruccioli […]