Durante i lavori di ristrutturazione in un palazzo nella regione della Sassonia e più precisamente nella città di Hoyerswerda, nella cantina di un appartamento, in cui dimorò Brigitte Reimann dal 1960 al 1968, una squadra di operai trovò un fascio di carte appartenente alla scrittrice tedesca. La nota curiosa è che in mezzo a scope, utensili e materiali vari avrebbe potuto andare perduto. Invece quegli operai notarono il nome di Reimann, dovevano intendersene, perlomeno, di letteratura, dunque salvarono quegli scritti, che si rivelarono preziosi per l’interpretazione di un romanzo, “Fratelli”, e per lo studio del pensiero dell’autrice, sintesi dell’anima del tempo in cui scriveva.
Si trattava di un quaderno formato A5 contenente i primi cinque capitoli del libro manoscritti, di alcune note sulla parte centrale del testo e un dattiloscritto sulla stesura.
Conosciamo Brigitte Reimann, scrittrice tra le più rilevanti della Germania del dopoguerra, soprattutto per la pubblicazione in Italia, ad opera dell’editore Voland, di “Franziska Linkerhand”, libro incompiuto sulle persone tormentate e la loro vita provvisoria, di notevole forza espressiva e conoscitiva; in Germania invece nel 2023 sono stati ristampati i suoi diari, che permisero di conoscere la vita nella DDR, le tensioni morali, i problemi umani, politici e artistici.
Reimann lavorò come insegnante, giornalista e insieme al secondo marito, Siegfried Pitschmann, fu a capo di un gruppo di scrittori all’interno di una fabbrica per la lavorazione della lignite.
Di grande e instancabile vivacità intellettuale, non si iscrisse mai al partito e lavorò affinché i temi da lei trattati potessero coesistere con la censura del regime che, comunque, non risparmiò la sua opera più importante, “Fratelli”, restituita in versione integrale per la prima volta nel nostro paese dalla traduzione di Monica Pesetti (che l’aveva già tradotta per l’editore Voland nel 2013) e la pubblicazione dell’editore Neri Pozza.
“Fratelli” fa i conti con la vita di Reimann e con la sua famiglia, in un paese dilaniato da opposte tensioni e da cui fuggirono migliaia di persone.
Il muro verrà costruito di lì a poco, nell’agosto del 1961, all’inizio le due parti di Berlino vennero divise da del filo spinato, ma si poteva ancora passare dall’altra parte. Alla fine del ’61, invece, cominciarono i problemi e le due Germanie furono divise fino all’89, anno dello sgretolamento della guerra fredda e della caduta del muro.
“Questo non è il socialismo per cui volevamo scrivere”, si ritrova ad affermare Reimann, mentre era in fase di stesura del quinto capitolo, e da lì in poi la sua scrittura assumerà delle connotazioni più amare. Resasi conto del cambiamento ideologico del suo paese, Reimann apporta delle sostanziali variazioni nel lessico, nella struttura della frase, epurando le metafore di tutti quei riferimenti militari che prima erano stati funzionali alla pubblicazione.
Nel romanzo più potente legato ai conflitti umani scaturiti dalla divisione della Germania la scrittrice elegge a protagonista Elisabeth, una giovane pittrice impegnata in un Kombinat, un polo industriale per la lavorazione della lignite, alle prese con Uli, l’ultimo dei fratelli, che ha deciso di lasciare la Germania est e migrare nell’ovest. Già come hanno fatto prima di lui i due maggiori, Uli è determinato e Elisabeth cerca di dissuaderlo dai suoi propositi.
È la storia di un dissidio familiare che si fa metafora del tormento di un’epoca, dissidio acuito dal rapporto fortissimo tra i due fratelli, che qualcuno scambia per fidanzati (“Da uno sguardo di sottecchi, un sorriso ci rendemmo conto che gli altri ci credevano una coppia, nonostante ci somigliassimo parecchio”). Nelle parole dell’uno e dell’altra, nei dialoghi serrati e rivelatori, risiede la forza del romanzo, lacerato dall’impossibilità di uscire dall’impasse dell’appartenenza ideologica come fondamento di vita.
Ma è anche un altro il contrasto che attraversa il romanzo e che si dispiega nel binomio tra arte e vita.
I dipinti costano migliaia di marchi al kombinat. È uno scandalo… State pur certi che la gente esortata ogni giorno a fare economia non apprezzerà che si gettino dalla finestra i suoi soldi.
Non c’è posto nella visione dei dirigenti di partito per un’arte che non sia al servizio della causa.
Al pari della trama e della forza espressiva di una sintassi improntata all’azione visiva, è interessantissima la vicenda legata alla pubblicazione del romanzo, di cui si accennava all’inizio, che risulta non dissimile dalla situazione odierna, dove sembra viga un diktat mercantile che sovrasta quello meritorio di chi consegna un grande romanzo alla Storia. Le varie riscritture e correzioni apportate dall’autrice rendono il suo ulteriore avanzamento nelle speculazioni politiche e culturali personali. Reimann si sente libera di decidere in base al fulcro del fuoco interiore, così come viene evidenziato nell’illuminante postfazione a opera di Angela Drescher e Nele Holdack, curatrici della versione dell’opera in lingua originale del 2023.
Ma ancora oggi l’appartenenza ideologica è fondamento di vita? Sarebbe comunque opportuno?
Temo che il tuo genere di realismo potrei tranquillamente ottenerlo con una buona pellicola a colori. Il mio occhio però non è un obiettivo e io non sono una macchina fotografica, io sono una persona con delle sensazioni e con un atteggiamento preciso nei confronti della persona che dipingo, e questa persona, Lukas per esempio, ha le sue sensazioni e il suo rapporto con la vita, con il proprio lavoro, con sé stesso e con gli altri, e tutto questo deve essere presente nel ritratto, tanti strati anziché una superficie liscia.
Recensione molto interessante e necessaria per poter leggere il libro, risultato di una complessa storia editoriale e umana.