Se cercaste la parola insipienza sul vocabolario Treccani trovereste: Ignoranza, stoltezza intellettuale o morale, ottusità di spirito.
Sinonimi e contrari: ottusità, sciocchezza, stolidità, stoltezza, stupidità. ↔ intelligenza, saggezza, sapienza.
Ecco che l’incapacità d’un impegno intellettuale e/o morale è il male endemico non solo di questi tempi.
Mi ha sorpreso piacevolmente un passo tratto da “Pierre Grassou” di Honoré de Balzac, siamo nel 1839 e sembra oggi.
Piccola parentesi: mi dispiace d’avere letto l’edizione BUR, non per la traduzione di Davide Monda, ma perché avrei senz’altro preferito confrontarmi con Mariolina Bertini che, peraltro, fa parte di “Billy, il vizio di leggere – il gruppo. Ma cercherò quella traduzione e la leggerò.
Il passo, in sostanza, è il seguente:
“Tanto la pietà eleva i mediocri quanto l’invidia sminuisce i grandi artisti”.
Chi è Pierre Grassou?
Pierre Grassou de Fougères è un pittore mediocre, uno di quegli artistucoli che rubando di qua e di là ai grandi maestri e arrangiando la sua “arte” secondo banalità e stereotipi, imitando, non inoculando nei suoi soggetti pittorici quell’oltre necessario al momento irripetibile e insondabile dell’Arte, avvalendosi di un mercante truffaldino e maniglione, un certo Elias Magus, riesce non solo a vendere ma addirittura ad attestarsi tra la gente comune, una borghesia incapace di “leggere” l’arte e, al contrario, orgogliosa di vedere in quella la manifestazione suprema di uno spirito elevato.
Già nel 1839 de Balzac si poneva tale argomento come focus primigenio di un fenomeno che oggi, nonostante secoli di sedimentazione artistica, è sostanzialmente immutato nella sua gravità. Anzi, forse oggi, grazie alla velocità dei mezzi di comunicazione, è riuscito a infiltrarsi nei gangli occulti di un immaginario che eleva a modello l’insulso e non riconosce il simbolo.
Pessoa nel suo “Faust” sosteneva che tutto fosse simbolo e analogia. E lo è per ciò che riguarda la nostra capacità intellettiva, prefigurativa, rappresentativa, interpretativa.
Ma che ne è rimasto?
“A trentasette anni, Fougères aveva prodotto per Elias Magus circa duecento quadri totalmente sconosciuti, ma con l’aiuto dei quali era arrivato a quella maniera soddisfacente, a quel livello d’esecuzione che fa alzar le spalle all’artista, ma che la borghesia adora”.
Ma torniamo al primo stralcio, quello della pietà e dell’invidia.
La modestia, la semplicità, la mitezza di Fougères possono di più di quanto non avessero fatto fino a quel momento le sue opere.
E arriviamo al punto. Nell’epoca del reality e del talk show prevale la modestia sull’arte.
Sento parlare di libri, di storie, assai meno di lingua e di stile, lettrici e lettori che per prima cosa ti rispondono: “io l’ho conosciuta la tale autrice ed è così semplice, così umile, per nulla atteggiata”. E ancora: “in una presentazione ho avuto il piacere di ascoltare il tale autore, mi ha colpito con la sua voce pacata e con la semplicità dei modi, si vedeva che non era montato”.
La categoria emotivo-moralistica ha la meglio sulla chiave simobolico-artistica. Scompare l’opera, prevale il caso umano.
Se avessimo dovuto prestar fede a tale criterio non avremmo dovuto misurarci con il violento, arrogante oltranzista Carmelo Bene, l’antisemita tranchant Louis Ferdinand Céline, l’antipatico arrogante Vittorio Gassman, la scontrosa Patrizia Cavalli, e si potrebbe continuare in superbia, tracotanza, intolleranza e aggressività elencando i grandi artisti, quelli veri, “vittime” di ciò che oggi il lettore medio/la lettrice media rifugge, preferendo il buon carattere all’Olimpo artistico, massificato com’è, il bravo spettatore-lettore, da trasmissioni televisive buoniste e ficcanaso, interessate all’emotività da solleticare col biografismo buonista.
“«Bisogna premiare la volontà nelle Arti! Grassou non ha rubato il suo successo! Sono dieci anni che sgobba, pover’uomo!» L’esclamazione pover’uomo! era contenuta nella metà delle approvazioni e delle felicitazioni che il pittore riceveva”.
Occorre da subito una nuova rialfabetizzazione, quella necessaria distanza dal becero, dal pecoreccio, dall’insulso che caratterizza colui/colei che subisce il suo analfabetismo funzionale.
“La bellezza passa… ma la bruttezza resta”, resta ad avvelenare, ad annichilire, a cancellare, ad abbassare consapevolezza e pregio, valori più che mai fondanti una società con una vera vocazione al futuro migliore.