C’è uno scrittore che ha fatto diventare le parole qualcosa di concreto, di tangibile.
Questo scrittore è Don DeLillo, che con la sua intera opera ha saputo, in maniera magistrale,
raccontare la nostra società, ha saputo toccarla, è riuscito a fotografarla con frasi e parole e pagine. Nato a New York nel 1936 da genitori italiani, esordisce con il romanzo Americana, nel 1971. La peculiarità di Don DeLillo è stata, da sempre, quella di riuscire a raccontarci le ossessioni umane, le moderne nevrosi, gli attuali temi nevralgici che inquietano e diventano pesi.
I romanzi che per me costituiscono lo scheletro della sua opera narrativa sono, senza ombra di
dubbio Rumore bianco (1985), Underworld (1997) e Body art (2001); sono queste le opere attraverso le quali lo scrittore americano è riuscito a tratteggiare e a maneggiare con maestria
l’America, ma con essa anche il resto del mondo, perché i tarli di una mente sono, molto spesso, i tarli di tutte le menti.
Ma quali sono questi capisaldi a cui si affida tutta la narrativa di Don DeLillo, quali sono le sue
ossessioni? Uno dei temi principi della letteratura di Don DeLillo è il tema della morte, il pensiero fisso, continuativo della fine inevitabile di ogni esistenza. Tema, questo, affrontato nel romanzo Rumore bianco, dove ci troviamo a leggere la storia di Jack Gladney, un professore universitario che per primo ha iniziato degli studi approfonditi sulla figura di Adolf Hitler (nonostante non sappia parlare il tedesco). Vive con la moglie Babette ed hanno entrambi figli da precedenti matrimoni. La prima metà di Rumore bianco è un racconto della vita domestica, dei piccoli conflitti interiori che albergano in ogni membro della famiglia, e poi una critica al consumismo, e una satira sul mondo accademico. Entrambi i coniugi sono spaventati dalla morte e si chiedono, spesso, chi dei due sarà a morire per primo. Poi, una fuoriuscita di materiali chimici da un vagone ferroviario causa la formazione di una nuvola tossica nella zona in cui vivono Jack e la sua famiglia, rendendo necessaria un’evacuazione. Jack, che è stato esposto alla tossina, inizia tutta una serie di controlli e sente l’avvicinarsi della morte in maniera molto più concreta. Inizia qui una riflessione sulla paura della morte, e il piccolo mondo della famiglia Gladney rispecchia così l’intera società moderna. All’interno del romanzo troviamo descrizioni dettagliate dei supermercati, dei colori sgargianti delle confezioni sugli scaffali, e ancora, pagine e pagine che raccontano della vita e del lento ed inevitabile cammino che conduce verso il nulla assoluto, appunto la morte.
Un altro tema importante e direi fondamentale della narrativa di Don DeLillo è quello del tempo, che ritroviamo sviscerato fin nei minimi particolari nel romanzo Underworld. Tutto incomincia il 3 ottobre 1951, un ragazzo di colore riesce ad entrare nello stadio (il Polo
Grounds di New York) in cui si sta giocando una partita di baseball: New York Giants e i Brooklyn Dodgers. Nel nono inning della partita, il battitore Bobby Thomson effettua un fuoricampo, dando la vittoria ai Giants, che conquistano così il campionato. Nella realtà non si sa che fine abbia fatto la pallina colpita da Thomson, ma nel romanzo il ragazzo riesce ad impadronirsene, anche se poi gli verrà sottratta dal padre, il quale venderà la palla per 32 dollari e 45 cents. La palla da baseball inizia così a passare di mano in mano, e viene usata come filo conduttore per dipingere l’America, dall’inizio della Guerra Fredda fino agli anni novanta. In questo romanzo c’è anche un altro dei temi forti di Don DeLillo, quello del complotto, quello di
vedere dietrologie nascoste in ogni comportamento, ogni azione. Poi, come già detto, c’è il tempo, che sembra cambiare tutto ma che forse, poi, non cambia nulla. La pallina che cammina negli anni, per finire di mano in mano, di storia in storia, un oggetto spettatore, un oggetto protagonista, che assiste alle incombenze, alle paure di un mondo che pare doversi preparare al peggio. Viene fuori, da Underworld, lo stile deciso, pieno di frame, dello scrittore americano; le scene descritte appaiono come vere e proprie immagini filmiche, e la costruzione della storia sembra una pellicola che si srotola; possiede, questo romanzo, la stessa cadenza, lo stesso ritmo di un film.
Quindi dalla paura della morte e della malattia di Rumore bianco, ai complotti e al concetto di
tempo e spazio in Underworld, fino al lutto, alla somatizzazione del lutto e ai fantasmi che
popolano la mente di una persona che ha perduto qualcuno, ed è questo il tema principale di Body art. In questo breve e potente romanzo ci troviamo dentro la routine di una coppia, le prime immagini che DeLillo ci mostra sono quelle di una consolidata routine quotidiana, la colazione, le chiacchierate al mattino. Ma quando lui muore, lei si ritrova spaesata e allucinata, inizia ad avvertire degli strani rumori dentro la sua abitazione, alcune ossessioni incominciano a scavarle sotto la pelle fin quando non trova, nascosto dentro una stanza di casa sua, un uomo, un estraneo che parla come il suo uomo defunto. Anche qui c’è la morte, tema cardine della letteratura di Don DeLillo, ma a differenza della morte accennata, pensata, di Rumore bianco, in Body art la morte diventa materia, materiale, presenza; e con il passare delle pagine, diventa talmente tanto solida da trasformarsi in un’immagine, da divenire un’ossessione quasi tangibile. Un romanzo che somiglia ad una ferita aperta, che continua a sanguinare e per la quale pare non possa reggere nessun punto di sutura.
Don DeLillo è lo scrittore che più di chiunque altro riesce con la sua lingua, con la sua scrittura, a farti sentire in bocca il sapore della sconfitta, a farti sentire nelle ossa il dolore della morte, dell’ingiustizia, a farti pesare sulla schiena il tempo che passa e che ci lascia indietro, sempre più indietro, fino a dimenticarsi di noi.