Unire l’inconciliabile. Intervista a Gianmaria Finardi

Unire l’inconciliabile. Intervista a Gianmaria Finardi

Bisognerebbe stare attenti a quei ragazzi con gli occhiali che hanno l’aria d’avere abusato dei film di fantascienza e di essere stati poco presenti nel mondo, perché arriva il momento che ritornano e magari aprono una casa editrice.
È il caso di Gianmaria Finardi che, dalla provincia mantovana, dopo la laurea in Lingue e Letterature Straniere, dedicando particolare attenzione alla letteratura francese contemporanea e conseguendo un dottorato di ricerca in Letterature Straniere e Scienza della Letteratura con un lavoro su Éric Chevillard, mette a frutto i suoi studi realizzando un sogno: Prehistorica Editore.
A dispetto delle dimensioni, la neonata casa editrice ha cuore impavido sottile e ambizioso e una naturale vocazione a ripensare il mondo attraverso ciò che in apparenza è inconciliabile.
Incidere sul reale e questo spiega le copertine dei libri bucate al centro, come una mise en abyme, una storia che si ripete a più livelli e che di volta in volta si riassume e si sostanzia.
Mai libri accomodanti, talvolta caustici, di certo rivoluzionari e disturbanti, contenuti in tre collane dissidenti: Scintille (dedicata alle forme brevi e/o fuggevoli); Ombre lunghe destinata alla narrativa tout court); Chevillardiana (interamente consacrata all’opera di Éric Chevillard, che incarna perfettamente lo spirito della casa).
Già questo illumina il sentiero catartico e avverte il lettore. Una sfida simbolica giocata sull’impiego di uno sguardo critico che abbia come principio uno strumento originale di ricerca e la ricusazione di un immaginario che non miri a spostare di qualche grado la consapevolezza abituale del mondo che ci circonda.

Cosa ha fatto scattare il tuo immaginario di editore inducendoti a creare la casa editrice?

“La maledizione comincia il giorno in cui la si riconosce” – osserva Chevillard (Sul riccio, p. 99). Io nasco francesista, e ho nel corso degli anni avuto la possibilità di cogliere alcuni tra i frutti più preziosi della Letteratura d’oltralpe – di certo tra le più feconde e fervide d’Europa. Ho quindi presto avvertito, sempre più forte dentro di me, l’urgenza di condividere questa straordinaria ricchezza in Italia; sono diventato traduttore. Di lì a edificare una mia casa, in cui trovassero spazio alcuni degli autori più importanti del nostro tempo, il passo è stato breve.

Parlaci della tua creatura. In quale contesto e momento nasce Prehistorica Editore?

Partirei dal nome, Prehistorica Editore, dove ho tentato di conciliare ciò che – in apparenza – si dà come inconciliabile: la scrittura e quel che per definizione storicamente la precede. Si tratta a ben guardare di un paradosso solo apparente, dato che l’intenzione è quella di scoprire, con i nostri libri, strumenti letterari del tutto inediti, ante litteram, che siano pertanto in grado di proporre versioni critiche e alternative, ma non per questo meno credibili e solide – “abitabili”, direbbe Umberto Eco – di quello che usiamo chiamare “il nostro mondo”.

Questa vena critica – come si conviene alla vera Letteratura – irrora e anima l’intero progetto. Tale intento, di tornare a porre la Letteratura al centro, perché possa ancora fare presa sul mondo, si evince anche dal nostro logo, dove un dinosauro prende a morsi un libro, e si riflette su tutte le nostre copertine, che riportano – non senza un po’ di sana autoironia – uno squarcio tipografico al centro. Di lì anche il nostro motto: “La grande Letteratura – non solo francese – che lascia il segno”. Non a caso, forse, il nostro progetto ha convinto gli organizzatori del Festivaletteratura 2019 di Mantova, da cui la casa è stata tenuta a battesimo.

Del resto, il periodo che stiamo vivendo è difficile, da un punto di vista culturale, leggi economico, sociale, valoriale… Perché allora non chiedere alla Letteratura ciò che solo la Letteratura può garantire, ovvero di tirarci fuori dalla palude?

Cosa non riuscivi più a trovare nel panorama editoriale odierno?

Ti dirò quello che ho sempre faticato a trovare: libri che non siano mero specchio (rappresentazioni in miniatura) del mondo, bensì sue versioni concorrenziali, reinterpretazioni. Sono per altro il tipo di libri che, a mio parere, fanno più riflettere (ben più di un mero specchio), sul mondo.

Se dovessi sintetizzare il tuo obiettivo di editore, quale tema sentiresti più cogente?

Seminare libro dopo libro, se non il buon grano, almeno il dubbio.

Cosa senti di dire al tuo lettore?

Tre cose:

– Che avremo massima cura della sua intelligenza.

– Che se saremo in molti a condividere una versione altra del mondo, attraverso un libro, allora potremo sperare di cambiarlo, dato che quello che chiamiamo “il nostro mondo”, e che ci sembra intoccabile, “altro non è che un costrutto culturale condiviso dalla maggioranza” (Umberto Eco).

– Che alla peggio, anche nel caso non fossimo stati abbastanza numerosi per cambiare il mondo, avremo (comunque!) vissuto una versione più autentica (e anche poetica!) dell’esistenza.

Perché hai deciso di partire con la pubblicazione di Chevillard?

Dedicare un’intera collana all’opera di Chevillard, effettivamente, credo sia una scelta molto precisa, emblematica di una certa idea – ma anche di un’idea certa – di Letteratura. Chevillard, che la critica ha ormai rinunciato a etichettare (dapprima si è tentato di accostarlo a Beckett, Michaux, Lautréamont, Echenoz, ora, più prudentemente, è qualificato come “l’inclassificabile”), dispone di una varietà infinita di mezzi linguistici: li mette al servizio del lettore per interrogare il senso, la necessità del mondo. Lungi da qualsivoglia formalismo, Chevillard incarna l’ambizione più alta della Letteratura: far esplodere il mondo, così da reinventarne uno tutto nuovo.

Che libro è “Sul riccio”?

Fra tutti i romanzi di Chevillard, “Sul riccio” occupa un posto particolare. E lo si capisce sin dalle primissime righe, in cui vediamo il protagonista – uno scrittore – seduto alla propria scrivania, in procinto di redigere la sua grande autobiografia: tutto il materiale necessario è pronto, un foglio, una matita, l’immancabile gomma, e un riccio… sì, l’animale, che non sembra c’entrare nulla lì, e che di certo, con i suoi aculei, ostacola il dichiarato progetto autobiografico.

Ma è proprio questa la grandezza del romanzo: mentre il testo sembra parlare unicamente di se stesso (in una prospettiva autoreferenziale, ossia dei problemi connaturati alla scrittura stessa), come chiudendosi a riccio su se stesso, di fatto offre l’occasione al protagonista di parlare di qualsiasi cosa. Basterebbe questo testo, a dimostrare che tutto è passibile di scrittura, per Chevillard.

Questo romanzo si dà come autentico libro dei libri, dato che affronta il tema spinoso per antonomasia, quello che soggiace a qualsivoglia opera letteraria: l’ossessione della pagina bianca, il cosiddetto blocco creativo. Sono convinto che sarà d’ispirazione a tanti futuri scrittori; a me, questo testo ha ispirato il blog di Prehistorica Editore, Incisioni del traduttore, che aggiorno quotidianamente con diversi frammenti, uno dei quali necessariamente in francese. Si capirà perché, tra tutti i romanzi di Chevillard, proprio Sul riccio doveva essere il primo, quello con cui Prehistorica Editore avrebbe rotto il silenzio.

In cosa la letteratura francese contemporanea differisce (se è così) da quella italiana?

È difficile calcolare una media, senza tenere conto delle grandi voci – grandi in quanto fuori dal coro – comunque presenti nei due universi culturali in questione. In linea generale, la Francia è da sempre una delle fucine più importanti a livello europeo, in materia di Letteratura, mentre l’Italia ha conosciuto periodi più fiorenti di altri (penso al Rinascimento, ad esempio). Ciò che indubbiamente avvantaggia la Francia, almeno di recente, è la varietà di ispirazione, figlia – credo – di una maggiore libertà nel dibattito culturale.

Suppongo che tu abbia la dimensione del lavoro promozionale che l’editoria francese svolga nei confronti della propria letteratura all’estero. Ce ne vorresti parlare?

La Francia – terra di rivoluzioni –  è storicamente molto sensibile alla difesa e alla diffusione delle proprie idee; non difende meno i suoi grandi libri, e i suoi pensatori. Da editore concentrato sulla Letteratura francese e francofona, ho incontrato da subito l’attenzione e il sostegno di alcune istituzioni come l’Institut Français, che offre l’aiuto alla pubblicazione (nelle forme di sostegno alla traduzione e sostegno all’acquisizione dei diritti) per le opere ritenute più meritevoli.

Prehistorica Editore ne ha appena usufruito, sia per la pubblicazione (nella collana Ombre Lunghe) del primo romanzo tradotto in Italia di Pierre Jourde, Paese perduto, che per quello di Eugène Savitzkaya (scrittore belga di lingua francese), con Marino il mio cuor (nella collana Scintille). Nel 2015, Chevillard – in quell’occasione ospite di Villa Medici – era stato chiamato ad aprire e a chiudere il prestigioso Festival itinerante della Fiction Française: un’esperienza indimenticabile, che ho vissuto in prima persona accompagnandolo per l’Italia, in quanto suo traduttore. E a questo proposito, non si può non menzionare il prestigiosissimo Premio Stendhal (istituito dall’Institut Français), per la migliore traduzione dal francese.

Verso cosa sta andando l’editoria italiana? Quali sono i pericoli maggiori?

Sento dire che si legge sempre meno, in Italia. Credo piuttosto che il problema sia di ordine qualitativo: si legge persino troppo, considerando i cattivi libri. E la colpa non è certo tutta dei lettori, cui qualcuno evidentemente propina testi indegni, spacciandoli magari per Letteratura. Ora, pubblicare un cattivo libro non è un fatto anodino, tantomeno trascurabile. I cattivi libri entrano infatti in circolazione, nel sistema linguistico e culturale, avvelenandolo: la percezione (è una questione sensoriale, di senso) cade così nelle pastoie della banalità (livellamento verso il basso), della volgarità (gratuita, diffusa e legittimata), delle frasi fatte (sì, da chi poi?), altrettanta materia morta, infamante, digerita data in pasto alle nostre menti.

Non c’è dubbio che sia più semplice vendere libri su misura, prodotti di (largo) consumo proposti per un certo target, invece di libri sfidanti, realmente stimolanti; non c’è dubbio che, a un livello più alto, ci sia la volontà di sciogliere l’individuo nella folla, più facile da plasmare e controllare. Credo che l’inflazione del libresco finisca, come un potentissimo anestetico, per disorientare il lettore: questa è in parte responsabile del periodo difficile che stiamo vivendo. Ci sono però alcuni editori virtuosi, che da anni combattono strenuamente questo fenomeno; Prehistorica Editore è al loro fianco. Ma per rispondere davvero alla tua domanda, Angelo, mi converrebbe forse fare mia l’affermazione di Italo Calvino, che replicò così, quando interrogato sul futuro della Letteratura: “La Letteratura sopravviverà, se saprà porsi obiettivi smisurati”.

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Scritto da
Angelo Di Liberto
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