“Microfictions” di Régis Jauffret – La scheda del libro

“Microfictions” di Régis Jauffret – La scheda del libro

La copertina di Microfictions, pubblicato in Italia da Clichy

Se il parricidio e l’incesto sono i crimini davanti ai quali l’essere umano vacilla e viene preso dall’orrore, è altrettanto vero che si tratta dei luoghi elegiaci della tragedia e della letteratura. Espressioni del potere e della distruttività, dell’angoscia e del crimine. Cifra stilistica, damnatio, ossessione per chi interpreta l’abisso e ne struttura vite e aberrazioni, morbosità quotidiane.

Eppure è nell’esasperazione, nel caso limite che le teorie prendono il sopravvento sulla ricerca. Esistono vari tipi d’aggressione, di cinismo, atti mancati e sadismi, gioie generate dal fallimento dell’altro e inflizioni di colpa.

È il baratro in cui si muove l’universo miniaturizzato in cinquecento storie di Régis Jauffret, geniale scrittore francese che con “Microfictions”, tradotto in Italia da Tommaso Gurrieri e pubblicato dall’editore Clichy, vincitore del Goncourt del racconto, inscena l’assurdo elevandolo a emblema di un’umanità che si riconosce nel degrado morale e materiale.

Qual è la caratteristica principale di queste microstorie di due pagine ciascuna? Forse quella che fa più spavento e cioè la rivelazione al lettore di una degenerazione dell’umano come condizione naturale della specie. La consapevolezza di un essere imprescindibile nell’orrore. E sembra tanto più normale quanto più la scrittura sovrascrive un codice di comportamento allucinato ma riconosciuto come ordinario.

Succede al protagonista di “Champagne, Charlotte”, in cui un uomo, malato terminale di cancro ai polmoni con metastasi epatica, due mesi di vita, vede la propria malattia regredire misteriosamente e al contempo farsi avanti la moglie, Charlotte, furiosa per la notizia, perché ha aspettato la vedovanza con ardore. Nella vita della donna c’è Léo, che non può più aspettare la morte dell’uomo, è sfiancato dall’attesa e progettava già il matrimonio. Al protagonista del racconto non rimane che rivolgersi all’associazione di assistenza al suicidio del cantone di Vaud con la quale aveva già preso impegni precedentemente, quando credeva di dovere morire.
“Vi sarete sbarazzati di me prima di Natale”, risponde alla moglie. Eppure la donna non si accontenta. Si fa venire a prendere da Léo a mezzanotte per uscire insieme. Il nostro protagonista ha un asso nella manica e nell’ultima fulminante riga del racconto stende il lettore con una dichiarazione caustica quanto risolutiva.

È questo il mondo letterario di Microfictions, il riflesso condizionato e vilipeso della condizione umana, sempre tesa all’esaltazione della rappresentanza a scapito dell’interiorità, in cui il tempo gioca un ruolo fondamentale perché è dannazione, non libera mai dal ricordo.

È il caso del protagonista di “Corine Saint-Firmament“, che l’anno prima ha ricevuto la visita di un tizio mascherato da Topolino che gli ha detto che non sarebbe mai stato felice, e che successivamente ha trovato il monolocale in cui vive devastato e una scritta “ASSASSINO”. Sono quelli delle associazioni delle vittime a fare brutti scherzi, solo che adesso l’uomo riceve costantemente telefonate. La voce è sempre la stessa, quella della figlia Corine, di quattro anni, Corine Saint-Firmament, nome e cognome, che dando del lei al padre fissa con lui un appuntamento per rivederlo al caffè di Place du Châtelet. L’uomo attende la figlia invano. Poi se ne va e passa la notte in un hotel. Torna sul luogo dell’appuntamento l’indomani, ma Corine non si presenta nemmeno questa volta. Nessuno lo perdona di avere ceduto, trent’anni prima, alla libidine di avere seppellito viva la vittima, nemmeno sua figlia.

Se nel crimine efferato l’uomo trova la sua espressione più bieca, è nell’esaltazione del gesto che si riconosce fieramente affetto da mostruosità.

Dopo tutto si può essere felici in un film in bianco e nero e il technicolor non è mai stato garanzia di felicità.

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Scritto da
Angelo Di Liberto
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