“Il Sale” di Jean-Baptiste Del Amo

“Il Sale” di Jean-Baptiste Del Amo

La copertina dell’edizione italiana de “Il Sale”, pubblicata da Neo Edizioni

È la storia di un ritorno alle origini, di un’impronta indelebile, di una vocazione amorosa. È memoria che si fa materia e sgorga dalle piaghe dell’anima.
Di questa storia si potrebbe dire che dura un’intera giornata, quella dell’uomo e del suo viaggio sulla Terra. Ma è nell’andare indietro nel tempo, nel luogo dei silenzi interiori, in quelle confessioni mai rivelate, che la vicenda forgia il suo nucleo archetipico e consuma il suo potenziale. In quel dirottamento della fanciullezza, in quel conformarsi, modellarsi, configurarsi armonizzando asperità, barricando segrete aspirazioni, continuando a sopravvivere, perché spesso siamo come c’impongono di essere.

Louise è una donna anziana. È rimasta sola dopo la morte del marito, Armand, e la dipartita dei suoi tre figli: Albin, Fanny e Jonas. Organizza una cena per ritrovarli, agglutinandoli attorno alla memoria del coniuge. Quel padre che si rivela il centro oscuro delle loro infanzie insabbiate.
Come nel famoso film “Segreti e Bugie”, Louise reca nell’intimo un arcano che non tarderà a raccontare. Ha vissuto all’ombra di un uomo rude, di origini italiane, che ha vissuto la guerra ed è scappato insieme alla famiglia, rifugiandosi a Sète, luogo in cui si svolge la storia.
Louise è ormai friabile:

L’artrite dava alle sue dita delle curvature vegetali, come rami spogli al freddo invernale. Era allo stesso tempo, fragile e pesante di storia.

Eppure trova la forza per invocarli, loro, i figli, che hanno subìto sopraffazioni dal pater familias, che indubbiamente ha scheggiato, sfregiato, mortificato le loro esistenze incompiute.
Del Amo cesella la luce, calamitando l’attenzione del lettore attraverso una scrittura lirica degna dei più grandi autori di tutti i tempi. La potenza dell’evocazione espressiva, le metafore illuminanti, le descrizioni indimenticabili dei luoghi in cui si trovano a vivere e obliare i nostri protagonisti, sfuggono al confronto con qualsiasi categoria letteraria e inurbano il lettore in una genesi stilistica consacrata al mito.

Se in film come “Festen” e “È solo la fine del mondo”, c’era l’abisso familiare, ne “Il Sale” emerge il baratro dell’incompatibilità col perdono.
Per Fanny la casa è ciò che resta degli esseri umani: “muri ai quali essi stessi danno un sapore di eternità”, e lei vuole allontanare lo spettro della sua sopraffazione nella paralisi dell’infanzia.
Albin è il maggiore dei figli, troppo simile al padre per sfuggire al suo destino; “aveva raggiunto quello stato irripetibile in cui il confronto con qualcosa di inevitabile rivela il mondo per quello che è”.
Jonas, il più giovane, “era alto, scuro e magro in controluce. Aveva una sua esistenza fatta d’istanti e sensazioni. Considerava il padre un essere impenetrabile, mai al mondo avrebbe accettato la sua omosessualità.”

Il corpo è il luogo in cui convergono le memorie. Il corpo oltraggiato, coi suoi umori e le esperienze di piacere e dolore, con la sua lotta verso la coscienza di “esseri” spezzati. “La fragranza stemperata dei respiri e delle pelli” è l’abbrivio all’intimità con l’assoluto.
La lingua di Del Amo non conosce né increspature, né tentennamenti. Come un titano venerabile, l’autore sferza la parola reinventandola e connotandola, allo stesso tempo, in un registro stilistico raffinatissimo che coniuga la tradizione migliore.
Non a caso il suo nome viene spesso affiancato a quello di Balzac, Süskind, Flaubert. Per la sua capacità di essere nella sensazione, pur condividendo quella passione tutta umana che rasenta la trascendenza e il destino.

“Il Sale” brucia, dolora, sfianca. Il sale scarnifica, asciuga, caustica. Il sale è una seconda pelle che riveste le esistenze dei protagonisti, rimandandoli all’amniotico, all’ancestrale.
E quando viene l’estate, le stagioni non spaventano più.

Spesso i giorni disastrosi sono giorni di un sole lucente che ne illumina la bellezza più spietata, la violenza inaudita. Giorni in cui la visione del mondo è chiara, cristallizata.

Perché è in quei giorni che l’infinito declina la vita nelle sue suggestioni più vere. E sparisce la paura, l’inganno, e ognuno di noi è un’isola di luce nella corrente.

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Scritto da
Angelo Di Liberto
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