IRRACCONTABILI: ovvero resistere alla lacerazione

IRRACCONTABILI: ovvero resistere alla lacerazione

Già dovrebbe dire qualcosa quella carta kraft su cui Pedro Mardones decise di scrivere la sua unica raccolta di racconti, compilata in trittico durante un periodo di lacrime e sangue, quello della dittatura Pinochet, negli anni Ottanta. Una carta da impacco, resistente alla trazione e allo scoppio, all’acqua e alla lacerazione, di cui sono stati riprodotti fedelmente trama e colore nella copertina di “Irraccontabili”, libro pubblicato da Edicola Ediciones in Italia a ottobre del 2020.  
Se non bastasse, le illustrazioni di eccellenti disegnatori come Luis Albornoz, Rufino Hernán Venegas, Patricio Andrade, Mena, Guillo Bastías, Jaime Bristilo, che meriterebbero un discorso a parte per la carica espressiva e la lucidità della sintesi, raffigurano un microcosmo allegorico che prosegue man mano in parallelo con la scrittura.


Pedro Mardones volle essere fedele all’idea di un innesto nella linea genealogica della madre, indossandone il cognome, ingentilito dal tocco francese (come usava dire la nonna), a testimoniare il rifiuto dell’ottica machista rappresentata dal padre, che lo teneva a distanza per la sua omosessualità.

Fu per questo e per quell’omonimia che lo costringeva a portare lo stesso nome e cognome paterni dichiarati all’anagrafe, che dalla metà degli anni Ottanta Pedro Mardones fu per tutti Pedro Lemebel. Cileno di nascita (era nato a El Zanjón de la Aguada, uno dei quartieri più poveri di Santiago), cronista radiofonico, poeta, scrittore, sceneggiatore e saggista, agitatore culturale e difensore dei diritti degli oppressi, Lemebel fu acerrimo oppositore dell’autarchia militare della dittatura di Pinochet. Il suo sodalizio con Francisco Casas (poeta e artista) diede luogo a Yeguas del Apocalipsis, che significò la più dura tra le dimostrazioni di dissenso, insieme alle trasmissioni a Radio Tierra e le letture di testi che affrontavano apertamente il riscatto degli omosessuali, la liberazione delle donne dal giogo del maschilismo e la rivelazione dell’ignavia della Sinistra, che più volte lo estromise dal partito proprio a causa del suo orientamento sessuale. Lemebel-Casas arrivarono a sabotare eventi culturali e politici presentandosi mascherati di piume e abiti eccentrici che esprimevano un senso di liberazione sessuale e identitaria. La loro azione mirava a destabilizzare e a provocare, rivendicava la verità dei corpi e il loro affrancamento da logiche vetero-culturali incistate in ruoli precostituiti.

Lemebel, più volte accostato al tremendismo letterario, dapprima espresse la sua verve nell’insegnamento, ma fu subito allontanato dalla scuola per la sua omosessualità. Nemico giurato del finto perbenismo e delle scelleratezze di una cultura uniformata, si presentò alle “Giornate Pablo Neruda” con la falce e il martello dipinti sul viso, tra il sopracciglio e il labbro superiore, lo stesso simbolo comunista che campeggiava nel drappo che fu collocato sulla sua bara nel 2015, assieme a una scarpa rossa dal tacco alto. Usò il corpo come pagina bianca sulla quale incidere idee e principi di lotta, i medesimi che propugnò nei suoi scritti, di cui “Irraccontabili” è la prima prova con la quale si rese visibile. Vi lavorò insieme a Pía Barros, una scrittrice cilena femminista con la quale condivise sopravvivenza e azioni letterarie.

Non v’era distinzione tra Letteratura e Vita. Pedro Lemebel ha incarnato la figura dell’artista totale, in grado di operare in piena autonomia a dispetto delle condizioni socio-storico-culturali anzi, proprio a partire da quelle, s’impegnò nel difficile compito di una lingua che facesse confluire al suo interno una nuova modalità d’espressione, tipica degli oppressi, degli invisibili, ma che si arricchisse di una pulsionalità umoristica, in cui il racconto rivissuto da parte di personaggi caricati da vivide connotazioni fisiche e psicologiche, si mescolasse con un discorso indiretto libero, quasi a sospendere le atmosfere, a renderle atemporali. Il suo potenziale linguistico è fortemente simbolico e si nutre della schiettezza delle descrizioni e di situazioni estreme in grado di restituire, per assurdo, la precisione dei sentimenti. Nei postriboli, nei luoghi di vita comune, nei bar, i suoi personaggi si materializzano col fascino di un’aggettivazione barocca e cesellata, in un rinnovato liberty letterario che ne dispiega sapientemente il corrispettivo caratteriale capace di rappresentare un’epoca.

Silvia Falorni traduce per l’editore Edicola Ediciones l’equilibrismo sintattico in cui Lemebel sembra trovarsi a proprio agio, ricreando geografie musicali fluenti e argute. Le tredici narrazioni brevi, composte da dieci racconti e tre microracconti, si addentrano nei vicoli esistenziali dei protagonisti quasi come se fossero così contrastanti da renderne irriconoscibile un filo conduttore. Invece è proprio il destino di questi ultimi a situarsi nell’invisibilità degli azzittiti. Sono voci di coloro che esistono solo per chi vuole vederli. Vittime della dittatura a vario titolo o di un inquadramento sociale, di un diktat ideologico, di una categoria di pensiero unico.
E se la prefazione di Pía Barros ha il pregio di catapultare da subito il lettore nel mondo iperbolico di Mardones/Lemebel (Leggevamo come posseduti, bevevamo caffè, tè e alla fine tisane fatte con erbe che trovavamo o rubavamo quando non c’era rimasto nient’altro), è lo stesso autore che nella nota in epigrafe, in riferimento ai racconti, dice: “Per molto tempo li ho tenuti nascosti come dei figli rimbambiti”, quasi a legittimarne l’esistenza.
Un Babbo Natale pedofilo, una vecchia libidinosa che vuole riscattare la sua età, un giovane zoofilo, un uomo accerchiato dalle forze militari, un altro che ha rinunciato alla sua bicicletta, un anziano monsignore lascivo, sono solo alcune delle figure allegoriche che arricchiscono l’universo lemebeliano, carico di dissenso e coscienza della difformità. Se i coprifuochi e le repressioni poliziesche non piegarono la sua voce ma la innalzarono a pinnacolo di un’architettura sontuosa e necessaria, Pedro Lemebel si fece monumento totale e il suo corpo tabernacolo pagano degli oppressi.

Conosceva la povertà e ne aveva paura. Niente nei suoi testi è casuale, tutto è pensato e consapevole, ogni parola, perché credeva in un mondo migliore e credeva di poterlo cambiare con la letteratura, dato che la rabbia per le ingiustizie gli schizzava fuori dalla pelle.

Quel 23 gennaio 2015 nessun cancro alla laringe lo zittì, perché la sua voce è ancora un monito contro ogni libertà violata, identità distrutta, diversità cancellata: una voce “irraccontabile”.

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Scritto da
Angelo Di Liberto
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