Il cantiere sublime

Il cantiere sublime

Quella di Andrej Nikto è la storia di un’utopia rivelata, una folle corsa dalle distanze, una ricerca arrovellata di un approdo. Nikto è un Ulisse post-moderno e, come tale, un inetto sveviano. Incapace di aderire alla vita, senza un ruolo sociale in cui riconoscersi, dopo una guerra e l’invasione delle acque decide di partire per partecipare a un fantomatico cantiere eterno per creare la Sublime Costruzione.

Il richiamo biblico a Noè, l’azzeramento della vita e la sua palingenesi si manifestano non più su un’arca dell’alleanza ma su una corriera che dovrà condurre il protagonista, il suo amico Ärvo e altri comprimari (Mitzi, Ossian e via via Gengis, il Dottore, Mac, Virna) a una nuova terra promessa.

Nessuno possedeva altro che sé stesso e come tale si nascondeva al mondo nel terrore di far gola alla natura o di vedere specchiato in qualcun altro il ghigno mostruoso del soccombente.

Puk è il primo personaggio che incontriamo, un tipo che ha perso le gambe e che decide di rimanere nella città. È un riferimento per quanti entrano ed escono. È il guardiano e il testimone. L’azione inizia da lui, dalla sua memoria d’annientamento dell’umano prima dell’ineluttabile silenzio finale. Puk sa, conosce l’essenza della Sublime Costruzione ma non fa in tempo o non vuole rivelarla.
Dalla Porta dell’Est parte la corriera dopo avere raccolto Nikto e gli altri. Il viaggio verso l’utopia è costellato da avvenimenti onirici e misterici. Già tra le brande del mezzo di trasporto aleggia speranza e arcano. Ogni passeggero nasconde una storia di cui è geloso custode pronto a tutto pur di non dispiacere i due Vecchi che controllano i viaggiatori. Una porta di ferro separa gli ambienti. L’uomo dalla tuta beige interroga quanti sono saliti a bordo redigendo una sorta di questionario kafkiano.

La chiacchierata di oggi non consideratela come qualcosa di definitivo, non c’è niente di irreversibile, niente di stabilito per sempre in quello che ci diremo.

È un’iniziazione alla nuova vita. Come Omero fece viaggiare Odisseo, disperdendolo nei gorghi della sua stessa impronta farneticante per poi ricondurlo a casa, così Gianluca Di Dio forgia il suo protagonista con gli strumenti magici della parola, espandendo il suo mondo interiore e facendo errare Nikto tra le terre odissiache dei mostri ancestrali.
“La Sublime Costruzione”, titolo enigmatico dell’ultima opera di Di Dio, uscita per l’editore Voland, è l’impalcatura di un gorgo universale in cui s’incrociano i miti omerici e le credenze post-tecnologiche e post-industriali. Riattualizzare l’Odissea vuol dire ridare senso al viaggio e al destino. E se la corriera del libro ricorda il treno della fortunata serie tv “Snowpiercer”, poco cambia nel significare la rappresentazione di ciò che resta dopo la fine.
“In principio era il verbo”, il suono primordiale che inseguiamo tutta la vita. Nel prologo Andrej Nikto dichiara: “Questa è la storia di quella ricerca ossessiva e vana, una sorta di ricostruzione, o meglio di riedificazione del tempo di un essere umano, decennio dopo decennio, giustapponendo frammenti di una vita tarlata dai sogni e allucinazioni, proprio come quella di un qualsiasi reduce di una lunga guerra”.

Il suono non cambia, è solo distorto dai rumori quotidiani, ma esso continua a vibrare aspettando che qualcuno lo senta e ci si ricolleghi. Non il canto delle Sirene, che pure annuncia l’oltremondo, ma il silenzio sublime.

Le tappe intermedie, sono incidenti, prove, stasimi. Dai Lotofagi a Circe, in un’eco calipsiana, attraversando la terra del grande sonno e quella delle ombre, tutto concorre a riflettere l’esistenza in un uno-unico mutaforme.

Intorno era tutto fermo e riverente, pareva di stare dinanzi a un immenso sacrario senza corpo, un monumento al silenzio…

Di Dio utilizza una lingua precisa e colta, ritma la frase contrappuntandola, creando ancoraggi con i suoni più che con le immagini. Il modo in cui la parola declina il senso è appannaggio dell’azione, dell’allusione. Ogni dichiarazione dei personaggi sembra inscritta in un cifrario antico che rimanda ad altri personaggi mitici.

Forse non saprò spiegarle chi siamo per davvero, né descriverle la mente o il luogo in cui abbiamo preso forma, forse riuscirò solo a dirle che tutto è un’unica e insondabile illusione.

Se il mistero è insito in ogni viaggio, la Sublime Costruzione li contiene tutti.

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Scritto da
Angelo Di Liberto
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