Dal 21 al 30 ottobre ho vissuto su Billy, da autrice, l’esperienza della lettura consapevole condivisa. Funziona così: ogni giorno l’amministratore posta uno stralcio del libro e i lettori sono liberi di commentare, ampliare con ragionamenti e suggestioni, porre domande. L’autore è altrettanto libero: di rispondere in forma più o meno estesa, più o meno argomentata, e di arricchire la discussione con spunti supplementari. Quando Angelo Di Liberto mi ha proposto di fare tutto ciò con il mio romanzo “La proibizione” non ho avuto un mezzo dubbio. E non parlo tanto dell’opportunità di accettare – scelta ovvia, direi, per altrettanto ovvi motivi –, ma della scelta di affrontare il tutto in modo molto attivo, cercando di proporre ai lettori degli aspetti del testo poco lampanti ma cruciali, o svelando ciò che è difficile, e non necessariamente vitale, intercettare: l’intenzione di scrittura. È andata bene. Anzi, direi ottimamente perché i lettori di Billy mi hanno sorpresa per la loro capacità di analisi, perspicacia e aderenza al testo. Nei giorni della condivisa leggevo Distratti dal silenzio, una raccolta di brevi testi – saggi, interventi a convegni e seminari, prove di autoanalisi, interviste – di Stefano Dal Bianco. Leggevo e meditavo, perché le parole di Stefano, come quelle di ogni bravo poeta, sono parole dense, che richiedono tempo e applicazione. Ne parlo qui perché un passaggio del brano Autocommento mi sembra dar conto perfettamente del tipo di relazione che si è creata con i lettori di Billy, in una sorta di riverbero o amplificazione della consapevolezza. Autocommento è, come chiarisce il titolo, il commento a un testo che l’autore fa da sé. L’oggetto qui è una poesia, che non riporto perché piuttosto lunga, e che ruota attorno alla presenza di un platano: il poeta che lo guarda, ne fa esperienza, ma poi si riscopre muto, o comunque impossibilitato, deficitario, al momento di tradurre la visione in parola. Ogni traduzione in scrittura è tradimento, perché all’interrompersi dell’esperienza si genera uno spossessamento dell’esperienza stessa.
Scrive Dal Bianco:
Per salvaguardare al massimo (del tutto è impossibile) il contenuto di verità del platano nel momento in cui lo si mette per iscritto, c’è bisogno di un atto di amore plurimo: 1) di chi scrive verso il platano (bisogna essere determinati a non tradirlo, cioè a non sovrapporre se stessi al racconto-descrizione); 2) di chi scrive verso il lettore (se non si ama e non si rispetta il lettore, le sue esigenze di condivisione del “messaggio”, non c’è passaggio di comunicazione, non c’è l’esperienza appunto “condivisa” della poesia) 3) ma soprattutto del lettore verso l’immagine che egli si può fare sia del platano sia dello scrittore. Senza la partecipazione attiva del lettore la poesia è vuota.
E senza la partecipazione attiva del lettore anche la narrativa è vuota, perché scrivere prosa è appunto un atto di comunicazione: il testo non deve diventare la torre d’avorio entro cui lo scrittore sdegnosamente si arrocca per difendersi o tutelare una certa concezione di sé. Il rischio è, pur nella bellezza, il solipsismo: un corpo di cui nessuno può godere. È la sterilità, dunque la vanificazione del senso della scrittura stessa.
All’estremo opposto, assecondare i desideri dei lettori sempre e a prescindere (e desideri spesso solo presunti, tra l’altro), può prendere la forma di uno svilimento o castrazione della materia. Provo a mettere da parte i ragionamenti alati per fare, scesa sulla quotidiana terra, una riflessione sui rapporti che oggi s’instaurano fra autori e lettori attraverso un tramite che è soggetto non letterario ma economico: il settore editoriale. Ripeto la parola economico perché è importante e dà la misura di molti dei fraintendimenti che governano questa relazione: l’editore deve alla fine realizzare un profitto o almeno una situazione di pareggio in bilancio e garantirsi una copertura finanziaria adeguata. Che le condizioni del settore non siano floride lo si sente da tempo e da più parti. Il nocciolo della questione mi par essere, spero di non sbagliare, una sproporzione fra domanda e offerta: troppi libri per troppo pochi lettori. E per accattivarsi le simpatie e solleticare le voglie di questi lettori sempre più parchi, fiacchi, disamorati, gli editori – si dice – senza remore abbassano l’assicella della complessità proponendo titoli palatabili e facilmente digeribili; a cascata questo condiziona la scrittura degli autori, anche per l’influenza di quel potente gancio di trasmissione che sono gli agenti letterari. Ci sono editori che fanno un lavoro egregio, secondo me, e scelte di vero coraggio (penso ad esempio a Voland) ma vero è che alcuni testi letterariamente validi faticano a trovare sbocco editoriale pur non presentando difficoltà tremende – decifrazione della pagina o costruzioni borgesiane.
Eppure un altro modo ci sarebbe, e un gruppo come Billy lo dimostra: far riavvicinare libri e pubblico creando contesti dove opere un po’ più complesse della media – per stratificazione, lingua o un messaggio non biecamente consolatorio –, possono essere proposte con l’agio di tempi morbidi, dilatati, meditativi. La lettura consapevole e condivisa riesce a far questo. Io ho visto tutto questo in azione: i lettori entrare nel testo, proporre, sottoporre, lasciarsi anche mettere in discussione o avere l’acume e il guizzo intellettuale per spingere me, che il libro l’ho scritto, a mettermi in discussione o almeno a precisare le mie intenzioni. Alcune dinamiche sfuggono a chi per primo le mette in atto per troppa consuetudine con il testo. Certo ci vuole, da parte dell’autore, apertura e disponibilità. Accantonare una visione del lettore come bersaglio da impallinare con la semplice gragnuola di post su uscite, presentazioni, premi, recensioni. Significa passare dall’io al noi. È un avvicinamento che non interviene nella materia letteraria, non richiede all’autore di sfornare versioni addomesticate della propria lingua o delle proprie immaginazioni per compiacere il pubblico pagante; gli chiede invece di mettersi a disposizione di questo stesso pubblico per farlo entrare nel testo, perché ci sono testi che abbisognano di maggior lavoro, preparazione, cura. E specialmente di tempo.
Cosa rende i lettori, gli spettatori, gli ascoltatori, gli uomini e le donne e i bambini di oggi (e anche gli scrittori, naturalmente) in media meno preparati e raffinati di quelli di venti o trent’anni fa? Sono più che mai convinta che sia il tempo. Leggere nel modo giusto richiede tempo, studiare richiede tempo, meditare su un testo (perché un testo valido impone di essere meditato, non ingurgitato) richiede tempo e se siamo pressati ogni giorno da centinaia, migliaia, milioni di segni, significati, storie, situazioni e in generale prodotti, se ci sentiamo costretti a un meccanismo azione-reazione istantaneo, come se tutto fosse un post da pubblicare o gradire all’istante – il pollice verso, il cuore, la faccia stupita –, ecco che il tempo per crescere – come lettori e come autori – viene a mancare.
Dieci giorni per leggere un libro assieme. Un unico libro, con calma, prendendosi tutta la tranquillità che serve, e lasciando emergere la meraviglia che i lettori nelle loro menti e nel loro animo possiedono, e che altro non chiede se non lo spazio e il tempo per uscire allo scoperto e darsi. Il mio romanzo non è un capolavoro: è un libro di esordio con tutti i difetti e i limiti del caso, e probabilmente io, come autrice, se mi verrà dato il modo di continuare, una vera grande opera non la scriverò mai. Però sono sicura, in questi dieci giorni, di essermi messa a disposizione nel modo migliore che potevo perché la condivisa si trasformasse in un’opportunità di arricchimento per tutti. Alle lettrici e ai lettori di Billy che hanno partecipato, anche a coloro che per molti motivi l’hanno fatto in silenzio, dico un sincero grazie.
Ho letto d’ un fiato l’articolo , perché io sono una delle lettrici che ha trovato nel gruppo “Billy il vizio di leggere “ le risposte alle mie domande . Ho girovagato in alcuni gruppi che hanno ad oggetto i libri e la letteratura e spesso delusa li ho lasciati perché non imparavo niente . Quando ho trovato Billy mi ha fatto subito una buona impressione per il rigore e il livello della discussione ma sono rimasta un po’ in silenzio a seguire mentre leggevo i libri proposti e i commenti degli altri . Mi sono accorta che scoprivo e imparavo . E finalmente mi sono buttata, molto timidamente e in soggezione perché io non ho le parole per le mie emozioni e mi è molto difficile scriverle. Però sono riuscita e ho trovato un ambiente accogliente dove anche le mie parole hanno ricevuto un sorriso. E che emozione fare la lettura condivisa con l’autore o l’autrice , una vera perla . Mi è sempre piaciuto andare alla presentazione di libri proprio per interagire con chi l’aveva scritto , ma la lettura condivisa è molto , molto di più. Grazie a Valentina per questo articolo .