Amatka è una storia di rivoluzioni e prese di coscienza in cui il linguaggio ha funzione conoscitiva e esistenziale.
Il contesto in cui si muove l’intera vicenda è fantascientifico e collima con la distopia. Ma pur avendo elementi dell’uno e dell’altro genere, Amatka si presenta come un’innovativa iperbole letteraria capace di analizzare un complesso di elementi che si sposta verso il thriller, l’onirico e il sociale.
Il respiro dell’autrice, Karin Tidbeck, è un sibilo prolungato in grado di raggiungere e fondersi con autori del calibro di Kafka, Orwell e VanderMeer.
Il lettore viene avvinto in una narrazione in cui la protagonista, Vanja Essre Due di Brilars, consulente per gli specialisti di Essre, viene spedita sulla colonia Amatka.
Il mondo straniato in cui ci immette la scrittrice non ha più nulla di ciò che conosciamo, ma ne conserva dei vividi echi. Esistono in tutto cinque colonie: Essre è la numero uno, il centro amministrativo in cui si prendono tutte le decisioni relative alle altre colonie; Balbit, il luogo della scienza e della ricerca; Odek, il cuore dell’industria; Amatka, il polo agricolo; infine l’ultima colonia, un tempo secondo centro agricolo ormai in rovina.
Vanja è una donna rassegnata, che non vive la sua condizione esistenziale fino in fondo. C’è sempre qualcosa che si spezza dentro di lei e ha a che fare con il suo passato familiare. Arriva ad Amatka con l’incarico di scoprire tutto quello che S.I.E. (Specialisti d’Igiene di Essre) vuole sapere sulle abitudini igieniche della popolazione.
Ad Amatka gli oggetti devono essere nominati di continuo e etichettati per farli esistere nella forma consueta, altrimenti si rischia di ridurli a una poltiglia gelatinosa.
Quando Vanja arriva a destinazione viene accolta da Nina Quattro di Ulltors e condotta in un appartamento dell’unità abitativa numero 24, in cui si trovano Ivar Quattro di Jonids, tecnico agricolo, e Ulla Tre di Sarols, un medico in pensione.
Sarà solo l’inizio di un’avventura ai limiti della realtà, dove il lettore imparerà che il potere delle parole è forse il più grande che l’essere umano conosca. Ma ancora, che la coercizione a vivere secondo dettami e protocolli irrefutabili è la più infima tra le condizioni che gli uomini possano accettare, fatta di controllo e oppressione velata. Un comitato che sorveglia e gestisce la vita degli abitanti della colonia, sempre meno numerosi e affetti da strani eczemi e problemi alla pelle, e una biblioteca che cela gli antichi testi, costituiranno un punto di partenza per addentrarsi nel mistero che avvolge Amatka, fino a scoprire i fondatori di un’oscura quanto arcaica colonia apocrifa capeggiati da una poetessa esoterica che si chiama Anna di Berols; immensi tubi nella tundra come passaggi segreti verso gli inferi e gli arcani che sono alla base di un ingranaggio vivente perverso.
Karin Tidbeck sconvolge il lettore per la vivida crudeltà del potere autocrate che però riesce a rinserrare in un misurato e minaccioso marchingegno letterario autosufficiente e che all’aspetto esterno risulta quasi necessario.
Il vero attacco è all’identità, all’essere cancellati, invertiti quasi fino alla disintegrazione dell’io. L’avventura di Vanja è quella di ognuno di noi, protesa alla sopravvivenza tra fanatismi e ordini costituiti, tra profezie e punizioni, in cui l’attaccamento alle parole può diventare uno strumento di salvezza e la chiave di una rivoluzione consapevole e liberatoria.
È questo il mondo in cui viviamo, diceva il maestro Jonas. Le parole devono essere tenute sotto controllo. Un cittadino che non controlla le proprie parole potrebbe distruggere la propria comune.
Attraverso Amatka impariamo un tempo in cui ciascuno sarà chiamato a “darsi al mondo”.
Bello