Partire a caccia di una domanda e ritrovarsi su un’isola del nord Europa. È questa la condizione da cui trae origine “Eclissi”, di Ezio Sinigaglia, libro iniziatico e epifanico al tempo stesso, in cui si narra il viaggio di Eugenio Akron, anziano architetto triestino che ha deciso di assistere a un’eclissi solare, l’ultima che potrà ammirare.
Il suo progetto puntava dritto all’oscurità per cogliervi una luce. Era inesplicabile a lui stesso. Eppure era il progetto più forte e preciso che avesse mai formulato in vita sua.
Si apre con queste parole il mistero e attraversa, pagina dopo pagina, mille espressioni del pensiero, cadendo furtivo nelle risonanze profonde di un animo che va ancora in cerca di qualcosa che il lettore svelerà garbatamente, per un sentimento controverso che fa a pugni con la memoria e il tempo.
Non si apre facilmente Eugenio Akron, è restio alle emozioni, forse perché sa che vivrà la più infuocata, l’ultima, la più desiderata. Insieme a lui, in questo clima di calma domenicale, c’è Clara Margaret Wilson, un’anziana signora di Boston nel Massachusetts, “dagli occhi più chiari che scuri ma non certo azzurri”, che si apre in un sorriso “fin troppo candido della dentatura”. La lingua di mrs. Wilson è esilarante, il lettore prova un misto di tenerezza e divertimento nell’ascoltare la pronuncia e gli involontari accostamenti linguistici che ne scaturiscono. Quel “Io parjlo italiano, un poco. E piacce tanto!” del primo incontro resta emblematico di una creatura a metà strada tra una bimba affettuosa e una valchiria.
E proprio da questo connubio, tra trepidazione e incanto, Eugenio e Clara affronteranno insieme l’avventura. Clara è alla sua diciassettesima eclissi e la prima l’aveva vissuta proprio in Italia, a Roma, nel 1961. Eugenio a quel tempo non era interessato al fenomeno, ma ora, in compagnia di questa bizzarra signora americana, la sua vita schizza nel più roseo dei paradisi ed è costretto ad ammettere che si tratti della sua prima volta dinnanzi a un’eclissi.
Proprio grazie a lei, nuovi pensieri e persino domande sopite cominciano ad albergare nel suo immaginario: Clara sta aprendo delle porte di cui Eugenio non conosceva nemmeno l’esistenza o che, forse, aveva voluto dimenticare.
Probabilmente è per il ricordo della moglie, Irene, o per qualcun altro, che Eugenio non riesce a dormire. Una consapevolezza nuova si fa strada dentro di lui, abita i suoi sogni e conturba le sue giornate.
Percorse a grandi passi tutto il molo […] e gli sembrava di andare a caccia, in ogni odore, in ogni suono, in ogni vago ricciolo di schiuma, in ogni cupo pozzo d’ombra, dell’amico morto da cinquant’anni e cinque mesi.
Perché proprio adesso il ricordo di Ben? Per quell’arte politica dell’eludere e rimuovere i sentimenti?
E se Clara è un’ignara messaggera, Eugenio cosa dovrà ricordare? I panorami descritti da Ezio Sinigaglia non sono sfondo ma elementi comprimari di una crisi esistenziale che muoverà l’architetto triestino fintanto che cercherà di sovrascrivere un nuovo frammento di vita circoscrivendo i precedenti. C’è la natura nordica e i suoi colori, il vento e il freddo siderale e tutto il silenzio necessario al lettore per capire e vivere.
Ma forse quella prima domanda ne rivelerà delle altre, apparentemente prive di legami e invece così necessarie a interpretare i vuoti.
E Clara è lì, in attesa, felice del suo ruolo.
L’olio della balena vecchia è capace di accendere anche le candele più giovani.
Perché se c’è anche la minima possibilità di essere felici, per due minuti e quarantasette secondi, sia pure per il disco nero della luna, quell’eclissi, quell’oscurità è solo l’inizio di una luce nuova.
Bello
Un calibratissimo congegno narrativo!
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