Alla fine del tempo

Alla fine del tempo

Se potessimo sincronizzare il tempo reale con quello interiore! Sarebbe il tempo in cui siamo stati felici e di sicuro ciascuno lo collocherebbe nella propria giovinezza.
Perché non fare che questo tempo sia il luogo in cui accompagnare a morire chi ha perso la memoria, i malati di Alzheimer – la malattia del secolo?

Ma in fondo potrebbe valere per tutti noi, che sani non siamo perché tutti soffriamo di una “solitudine angosciosa”, “in ogni caso è chiaro che è in arrivo una grande solitudine”. Il diritto al passato spetta a tutti, proclama Gaustìn (p.105)
Ma appena intuiamo la possibilità di una clinica del tempo si aprono domande fatali: c’è stato un tempo felice o felice è il nostro ricordo?
E se se n’è andato anche l’ultimo uomo che mi ricordava bambino allora se ne è andato anche il bambino (p.117)?

Perché con il tempo si modifica fino a dissolversi anche l’io e persino in presenza di testimoni – Gospodinov lo è di Emma la giovane amata – non lo si ritrova.
Il tempo “perduto” non può che essere individuale, tanti 1968 quanti sono gli uomini che lo hanno vissuto e tanti quante sono le latitudini europee in cui lo hanno vissuto. Non c’è dubbio che gli anni ’60 siano diversi in diversi paesi, anzi in alcuni, come nella Bulgaria dell’autore, gli anni ’60 arrivano nel ’70.
Ma Gaustìn costruisce il suo cronorifugio.

Come si ricostruisce il tempo? A cominciare dagli odori per i quali non abbiamo aggettivi, solo metafore, spostamenti di senso. E poi dagli oggetti, dalle minuzie quotidiane a cui le storie individuali si legano e che alla Storia non interessano.

Anche se poi – come scriveva Pasolini – gli oggetti non sono mai innocenti, e certo, scrive Gospodinov, nessun oggetto, neppure una pentola, lo è più dopo il Novecento (p.102).
Da lì si parte comunque, dalle stanze nel cronorifugio e dalla Svizzera, il paese che si è sempre chiamato fuori dal tempo ed è perfetto per i vecchi.
“Questa attrazione all’indietro è identica sia per le persone che per gli stati” (p.211), quando sono vecchi, nel momento in cui entrambi si accorgono che sono invecchiati all’improvviso. L’Alzheimer si è spostato nel mondo. Anche il mondo soffre di una irrimediabile perdita di memoria.

Allora perché non individuare il tempo felice da cui potrebbe ripartire l’Europa? Il momento salutare dove le cose sono integre. (p.157)

Facciamo un referendum in cui scegliere questo momento: Gospodinov lo racconta con straordinaria ironia per suggerire forse che guai a visitare il luogo lasciato da bambini, perché è svuotato e spettrale. Peggio. Il referendum scoperchia il vaso di Pandora, permettendo a tutti i tempi di mescolarsi, al di là dei singoli risultati e dei confini, e quando i tempi si mescolano è perché siamo giunti alla fine del tempo.
Il guaio è che la perdita di memoria porta all’ossessione del passato, il passato-Itaca a cui si torna per vedere il fumo del camino e nient’altro perché il resto non c’è più o è diverso da come ricordavamo (Penelope, Telemaco, Argo è morto).

I miti che raccontano tentativi di riportare indietro sono catastrofici (Orfeo, Lot) e c’è qualcosa di ingiusto nel decidere il tempo in cui vivrà chi verrà, anche se incolpevoli non sono neppure i giovani nel loro desiderare un tempo che non hanno conosciuto.
Ma allora non sarà che il cronorifugio dovrebbe essere non un rifugio nel tempo felice ma un rifugio dal tempo presunto felice?
E cercare invece di preservare la memoria nel presente? “Finché hai memoria tieni lontano il passato”; “Ricordo per tenere il passato nel passato” (p.302) che forse è meglio affidare ai libri con la loro illusione di ordine, ordinatamente posti sullo scaffale di una biblioteca.

Ma siccome la perdita di memoria e l’ossessione per il passato affliggono anche Gaustìn personaggio (che infatti si ripete, compare con autocitazioni identiche in più tempi) e il suo autore alter ego, fino alla confusione estrema dell’identità (chi siamo? Quello che ricordiamo, che abbiamo letto? Che abbiamo inventato? Ho inventato io Gaustìn o lui me?), neppure più il libro può mettere ordine, perciò il romanzo non può che farsi smemorato a sua volta procedendo, specie nell’ultima parte, per buchi, salti e riprese, proprio come la memoria dei vecchi.
E senza finale, che la propria morte – la fine del tempo – non si può raccontare.

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Scritto da
Maura Maioli
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