La verità, nient’altro che la verità

La verità, nient’altro che la verità

… dal reale non si può ricavare altro che una dolorosa sensazione di assurdità.

Come si costruisce una vita? È l’inquietante interrogativo che traspare da uno dei più esilaranti romanzi pubblicati di recente.
“Fila dritto, gira in tondo” del francese Emmanuel Venet, tradotto da Lorenza Di Lella e Giuseppe Girimonti Greco, pubblicato per la prima volta in Italia da Prehistorica Edizioni, è la lucida confessione di un uomo affetto dalla sindrome di Asperger che decide di dire tutta la verità, nient’altro che la verità, sulla sua vita e su quella di chi lo circonda.

L’incidente scatenante è il funerale della nonna paterna Marguerite, durante il quale vengono pronunciate parole di elogio da una parrocchiana, la signora Vauquelin, per un’anziana che non ha mai conosciuto e che, a detta del nipote, sarebbe stata l’esatto opposto di ciò per cui adesso viene ricordata.

A quarantacinque anni compiuti, uscito dall’infanzia da un bel pezzo e poco propenso, ormai, a gingillarmi con le illusioni, rivendico il diritto di avere un’opinione su questioni del genere. Nella fattispecie, questo è il quarto funerale cui assisto in vita mia, e per l’ennesima volta sono letteralmente disgustato dagli spropositi che mi tocca sentire.

Parte una ritmata e spassosissima storia al massacro, una spietata quanto autentica ricerca di verità, quella stessa adorata dal protagonista, stanco delle convenzioni e refrattario alle menzogne.

Appassionato allo Scrabble, il famoso gioco nel quale “le lettere hanno una vita propria e lo svuotamento di significato delle parole grazie al quale «vita» e «morte» possono essere perfettamente equivalenti” ne sposta in secondo piano il senso, e appassionato altresì alle catastrofi aeree, il protagonista di questo romanzo sembra essersi liberato del famoso binomio caro a Erich Fromm, che in “Avere o Essere?” aveva enunciato i principi dell’uomo nuovo, affini alla seconda condizione piuttosto che alla prima.

Totalmente assorbito dall’hic et nunc, il nostro quarantacinquenne è un fiume di verità, un concentrato di saggezza e esperienza che la lingua di Emmanuel Venet, tradotta efficacemente da Girimonti Greco e da Di Lella, affila sui destini dei comprimari e sugli altri convenuti, con una leggiadria degna dei migliori narratori.

Oggi è la volta di nonna Marguerite, che vorrebbero far passare per una donna generosa e gentile, revisionismo di cui nessuno intorno a me sembra indignarsi.

Non può farsene una ragione il nipote, che passa in rassegna gli anni, sin dalla sua fanciullezza costellata da osservazioni argute e rivelazioni sui comportamenti degli adulti e dal rapporto con l’unico essere umano che sia stato veramente in grado di comprenderlo, il nonno materno André. Costui è ritenuto uno dei dieci più grandi ingegneri del Genio Civile al mondo e insieme al nipote si divertiva a risolvere problemi di termodinamica. Dedicava al bambino molto del suo tempo, durante il quale venivano fuori riflessioni sui suoi viaggi, sulle letture o sulle scoperte scientifiche fortuite.
Eppure, questo strambo narratore ha il suo tallone d’Achille, l’amore platonico per Sophie Sylvestre-Lachenal, ex compagna di classe conosciuta al liceo Diderot trent’anni prima, poi divenuta attrice, sposata e divorziata da Patrick Lachenal, un fotografo di scena.

Per me l’amore implica una dedizione assoluta, una costante preoccupazione per la felicità dell’essere amato e una perfetta lealtà nei suoi confronti.

Sophie occupa buona parte dei suoi pensieri, perché “l’amore dà un senso al nostro breve soggiorno su questa terra”. Eppure, il nostro protagonista così perspicace e analitico quando anatomizza il mondo, sembra essere inadeguato quando si tratta di sentimenti. La sua è una distanza ritrosa, di sfiducia, d’incompatibilità con gli schemi.

Nemmeno Sophie Sylvestre-Lachenal è in grado di penetrare la sua natura speculativa e al protagonista non resta che amarla da lontano, sognando di costruire una convivenza.
E se nonna Marguerite è “una donna tanto di testa quanto di cuore perché in effetti era incapace di pensare quasi com’era incapace di amare”, Sophie ha scelto l’amore sbagliato ed è rimasta sola come lui. È per questo che il narratore sogna di scrivere un Trattato di criminologia domestica, per riflettere su come violenza e slealtà cementino una coppia, di cui ha esempio nel matrimonio tra sua zia Lorraine e il signor Jean-Luc Badin.

E mentre i suoi familiari “abitano il mondo con la disinvoltura dei padroni e senza rendersi conto di quanto il mondo li ignori”, lui li denuda, ne svela ragioni intrinseche e meschinità.

Emmanuel Venet, da psichiatra, traccia un profilo credibilissimo di Asperger, non relegando il suo protagonista a un ruolo caricaturale e non attribuendogli nemmeno buona parte dei cliché di tanta letteratura contemporanea sul tema.
Il narratore è semplicemente sublime, sempre in bilico tra una natura involontariamente comica e la necessità di rendere visibile ciò che per cultura, tradizione, educazione e convenzione non lo è.

C’è da imparare molto da questo simpatico osservatore di vite, che se ne sta ancora seduto nella sua stanza cercando di superare a Scrabble il punteggio record di Roger Walkowiak, il suo idolo, nei quarti di finale del campionato di Francia. Un modo per essere ancora felice.

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Scritto da
Angelo Di Liberto
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