Per chi è solo ovunque è il deserto

Per chi è solo ovunque è il deserto

Se qualche volta avrai bisogno della mia vita, vieni e prendila.

Fu Anton Pavlovič Čechov a scrivere questa frase in uno dei suoi racconti. Aveva conosciuto da qualche anno Lidija Alekseevna Avilova presso la casa del cognato di lei e se n’era innamorato. Sentimento corrisposto e tenuto segreto per decenni.

Non v’era memoria di tale rapporto. Čechov nel 1901 sposa l’attrice Olga Knipper e Avilova è una donna sposata e madre di tre figli.

Quattro anni dopo la morte di Avilova viene dato alle stampe “Čechov nella mia vita”, dove Lidija Alekseevna rivela il legame sentimentale e professionale che la terrà vicina al grande drammaturgo russo sino alla fine dei suoi giorni.

Il libro, che oggi ritroviamo nella pubblicazione di Miraggi edizioni con la traduzione di Barbara Delfino, ci riporta indietro, alla sera del 24 gennaio 1889, quando Nadja, sorella di Lidija, invita la donna a casa sua perché tra gli ospiti ci sarà Anton Pavlovič Čechov, di cui Lidija segue ogni opera con grande devozione.

L’incontro fulmina i due e darà luogo a un rapporto intimo, discreto, elegante, spirituale che influenzerà sia l’opera del drammaturgo che la vita e la professione di Avilova.

Ciò che pone in essere la storia è essenzialmente la figura di una donna volitiva, moderna, perfettamente integrata nel suo ruolo familiare e che compie delle scelte, consapevole delle conseguenze.

Avilova è sposata a un burocrate che, se da una parte mostra gelosia, dall’altra incoraggia la moglie agli incontri con Čechov, salvo metterla davanti a dei ricatti psicologici per costringerla a rincasare quando più gli aggrada. Usa i figli, la sua propria fragilità, dimostrandosi in questo un personaggio flaubertiano. È uno Charles che prova a tenere a galla una parvenza di matrimonio che comunque la moglie non infrangerà mai.

Il legame intenso tra Čechov e Avilova si sviluppa e si esaurisce nell’incantamento letterario di una vita improntata alla parola, all’indagine di ogni più oscura emozione.

Avilova sente la vocazione di scrittrice, desidera donarsi interamente alla letteratura e Čechov la incoraggia pur ammonendola sui rischi dell’enfasi e della sovrabbondanza.

Per concludere: avete talento ma Vi siete appesantita, oppure, volgarmente parlando, avete preso umidità e appartenete ormai alla categoria dei letterati ammuffiti.

Čechov sa quanto sia importante ogni sua parola per Avilova. Conosce il peso del suo ruolo e l’intangibilità di un’arte che ha necessità di assoluto.

Lidija non si tira indietro. Nella sua umiltà di scrittrice rivela l’abnegazione di una volontà. Ha deciso che la letteratura sarà parte del suo credo e continua nella ricerca della parola.

Nel fitto carteggio tra i due, custodito all’Archivio Centrale dell’Unione degli Scrittori, si evidenziano le ragioni del sentimento incrollabile per la letteratura, la necessità di una dirittura intellettuale e la pratica costante dell’arte dell’approfondimento.

Voi rifinite poco, una scrittrice non deve scrivere ma ricamare sulla carta, affinché l’opera sia accurata, lenta.

Questa frase è di un’attualità disarmante e funziona ancora oggi, nonostante sia disattesa dalla gran parte dell’odierna produzione letteraria nostrana, frettolosa, di superficie, strenuamente avvinghiata a un’oralità ombelicale.

Lidija Alekseevna Avilova ne è invece irretita.

Per me la sua opinione non era tanto una legge alla quale obbedire, ma una rivelazione che non può che essere colta con avidità e che non va gettata via, dimenticata.

E scrive ancora:

Anche se doloroso, anche se avvelenato, quello che ricevo da lui è felicità!.

Ma “Čechov nella mia vita” è anche uno scorcio della fine dell’Ottocento russo, i modi e i sentimenti di una società che volge alla fine. I teatri, le strade, le feste, i palazzi, la redazione del “Pensiero Russo”. Ogni angolo di Mosca, la luce e l’abisso.

Non mi ripugna la scrittura in sé, ma l’entourage letterario dal quale non puoi nasconderti e che porti con te ovunque, come la Terra porta con sé la propria atmosfera.

Non sembra trascorso il tempo da quelle parole. Sono cariche di senso e vitalità, di ripulsa per l’ovvio delle banali occasioni dei salotti.

Čechov e Avilova trovarono il loro momento felice nella fugacità di un’arte che poté chiamarsi vita.

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Scritto da
Angelo Di Liberto
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1 commento
  • bellissimo commento! non conoscevo la relazione di Cechov con questa scrittrice, benchè sia uno dei miei autori preferiti.