La cucina editoriale (XIII parte)

La cucina editoriale (XIII parte)

…ritenete che il sapersi accontentare sia un difetto o un pregio?

Per quello che mi riguarda sapersi accontentare è entrambe le cose. C’è un periodo in cui occorre non accontentarsi mai e un periodo invece dove è essenziale sapersi accontentare.

Più di vent’anni fa sono stato in Africa a studiare musica, in particolare percussioni e batteria. Ho suonato tanto e per tanti anni; ho cavalcato palchi importanti, e questa esperienza mi ha portato a stare con famiglie africane che non avevano niente e mi davano tutto.

C’è una cosa a cui penso in continuazione, ovvero che non ci si possa accontentare senza aver provato l’ingordigia; ma è altrettanto vero che ho imparato da persone che non avevano niente e questo mi porta anche a dire che bisogna sempre ricordarsi da dove si è partiti e non tradirsi mai. Tradire se stessi significa tradire gli altri.

Probabilmente penserete che questo non abbia nulla a che vedere con la cucina e l’editoria, ma io so che questa cosa mi ha cambiato profondamente.

Da quel giorno il mio modo di cucinare, di leggere, di vivere si è trasformato e si è innescato un processo evolutivo che mi accompagnerà fino all’ultimo dei miei giorni.

La cucina editoriale è anche questo, un processo mentale evolutivo che serve a me soprattutto, per capire e capirmi meglio, per saper leggere quello che mi accade intorno, ma anche a non perdere di vista il punto da cui sono partito.
Spero non prendiate male questi miei pensieri. Forse vi aspettavate una ricetta (tipo un segreto per la pasta e fagioli) o un consiglio di lettura (vi suggerirei Krakatite), qualche aneddoto, come per esempio che la buona letteratura vince sempre (I PELLICANI di Sergio La Chiusa, che Angelo Di Liberto ha subito capito e amato, è ora finalista nelle cinquine dei premi Berto e Megamark) e invece questa volta vi conduco nei miei pensieri.

Penso sovente alla morte. Penso che un giorno tutto finirà e tutto ciò che mi circonda svanirà. Chiusi gli occhi per l’ultima volta tornerà il silenzio precedente alla nascita, quando tutto era movimento privo di me. Questa immagine mi dà sollievo, mi rende maturo innanzi a un dato di fatto.
Il pensare spesso alla morte mi addolcisce la rabbia interiore. La tensione si distende e mi rendo conto che gran parte delle accanite strette di denti e degli scontri fisici e verbali precipitano.
Quanta pace mi dona pensare alla morte. Ogni giorno che passa è un ostinato trapasso mentale. Vitale. Un omaggio al sonno eterno. Una carezza tenera, precisa, una coccola. Nei pensieri come nei gesti, costante e imperturbabile restituisce significato alla mia vita. Vivo il pensiero della morte come passpartout del pacifico sapersi accontentare. Spezia profumata di una vita quotidiana troppo veloce e sviante. Sfuggevole e cronicamente imprevedibile, basta il pensiero e tutta la vita si manifesta. Penso alla morte e apprezzo ogni secondo di respiro. Penso alla morte e imparo ad amare senza nulla pretendere. Penso alla morte e i miei occhi cambiano luce, li vedo specchiati in un colore nuovo, niente più crucci sulla pelle del volto che pare cosparso di olio rasserenante e nutriente. Anche il sorriso appare da solo, come un arcobaleno dopo la bufera mentre la luce del sole ne dipinge la traiettoria sulla tela di pioggia rimasta sospesa in aria. Una musica meravigliosa nasce dal silenzio e nel silenzio mi tuffo per allontanare da me la paura che tiene sotto scacco la felicità.

Avete mai pensato a un libro che avete letto come un menù, una portata da preparare, trasformare la lettura di un romanzo in un piatto? Io sempre e la prossima settimana…

Continua…

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Scritto da
Fabio Mendolicchio
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